Un viaggio attraverso il mito di Didone. Così i suoi “cantori” ne raccontarono i tormenti d’amore e i morsi della lussuria

(di Andrea Bisicchia) Se la poesia lirica tende alla sintesi, colei che s’ancise amorosa”, dice Dante di Didone, la poesia epica tende al racconto smisurato, attento ai particolari, agli sviluppi della storia, alle sue intersecazioni, tanto da diventare materia di lavoro per poeti e artisti successivi, ciascuno attento a rispecchiare, attraverso il mito, lo spirito della propria epoca, dentro il quale, il racconto epico, può essere trasfigurato, riscritto, metaforizzato, musicato, teatralizzato.
Del resto, la storia di Didone, immortalata da Virgilio nel Canto IV dell’Eneide, è, in fondo, il rifacimento di un materiale preesistente che appartiene allo storico greco Timeo (IV – III Secolo a.C.) di Taormina, a cui dobbiamo la trama primaria, quella di Elissa (Didone), sorella del re di Tiro, Pigmalione, che farà uccidere il cognato Sicheo, spingendo la moglie a fuggire verso l’Africa, dove fonderà la città di Cartagine.
Antonio Ziosi, dell’università di Bologna, per i Grandi Classici Marsilio, ha curato i testi che, facendo capo all’Eneide virgiliana, hanno riscritto il mito di Didone, in forma epistolare (Ovidio, “Epistulae Heroidum”), in forma novellistica (Boccaccio “De Mulieribus Claris”), in forma tragica (Marlowe, “La tragedia di Didone, regina di Cartagine”), in forma melodrammatica (Metastasio , “Didone abbandonata”), in forma poetica (Ungaretti, “Cori descrittivi di stati d’animo di Didone”, “La terra promessa. Frammenti”; Brodskij, “Didone ed Enea”).
Il volume è preceduto da un dotto saggio del curatore, che conduce il lettore lungo un viaggio attraverso le variazioni del mito, distinguendo, per prima, la differenza tra epica omerica e epica augustea, oltre che le cornici narrative, dentro le quali, la storia si svolge, distinguendo tra vari generi che raccontano le sofferenze d’amore, i lamenti, il rapporto tra pudore e furore, con riferimenti metaletterari a Medea e ad Agave, distinguendo tra morte rituale e morte tragica, tra fama e buon nome, tra ambiguità e contraddizioni, tra morale e castità, tra amore e vendetta, il tutto trasfigurato nelle opere citate, che si distinguono, soprattutto, per il valore artistico e non certo per le banali riscritture a cui ci hanno abituato certi rifacitori di oggi di antiche tragedie, senza possedere l’afflato poetico e la dimensione artistica.
La donna che incontriamo in questo viaggio, è quella che si abbandona alla passione. Nel verso citato da Dante c’è ogni cosa, ma, soprattutto, c’è la donna che, dopo la vedovanza, risente i richiami del sesso, della lussuria, e che si uccide perché non può più soddisfarli, non per nulla si muove nella schiera dove ci sono Cleopatra e Semiramide, così rotta al vizio della lussuria “che libido fé lecito in sua legge”.
Per chi volesse ancora ricercare l’attualità del mito, come non pensare a Didone e a Enea, come due illustri profughi, antesignani di quelli di oggi?

Antonio Ziosi (a cura di), “Virgilio, Ovidio, Boccaccio, Marlowe, Metastasio, Ungaretti, Brodskij: DIDONE. La tragedia dell’abbandono. Variazioni sul mito”. Ed. Marsilio 2018, pp 320, € 10.