Una forza della vita chiamata Dafne. L’onestà, il coraggio, la sensibilità di una donna che dovrebbe essere “diversa”

(di Patrizia Pedrazzini) Attualmente in Italia sono quasi quarantamila le persone affette da Sindrome di Down. Che non è una malattia, ma una condizione genetica che accompagna per tutta la vita gli uomini e le donne nati con un’anomalia del cromosoma 21.
Dafne (Carolina Raspanti) è una giovane donna sulla trentina esuberante, diretta, spiritosa, che vive in Toscana con i genitori, Maria (Stefania Casini) e Luigi (Antonio Piovanelli). Lavora alla Coop, è circondata da colleghi e amici che le vogliono bene. E ha la Sindrome di Down. Un giorno, l’ultimo giorno di una vacanza al mare in campeggio, la madre improvvisamente muore. Lo smarrimento e il dolore si impadroniscono della casa che appare, ora, spaventosamente vuota. Nulla sembra più avere senso. E Dafne è chiamata a fare i conti con la nuova realtà, per sé prima di tutto, ma soprattutto per il padre, molto più debole e fragile, emotivamente, di lei. Sarà un viaggio, a piedi, per campi e declivi boscosi fino al piccolo cimitero sull’Appennino dove la madre aveva chiesto di essere sepolta, che permetterà ai due di scoprirsi, di parlare, di confidarsi, riportando alla luce dolcezze e affetti mai svaniti. E di cominciare ad aiutarsi.
Quello che più colpisce, in questo secondo lungometraggio (dopo “Mar Nero”) del quarantaquattrenne regista fiorentino Federico Bondi, è, considerata la tematica, la totale, assoluta assenza del minimo concetto di “diversità” (solo il padre ne accenna una volta, parlando con la proprietaria di una trattoria di montagna dove i due trovano alloggio nel loro breve viaggio, ma solo per evocare, con tenerezza, il ricordo dei primi giorni di vita della figlia). Dafne è tutto tranne che “diversa” e, soprattutto, nessuno intorno a lei sembra farci minimamente caso. In compenso ha grinta da vendere, animata com’è da una profonda sincerità, che arriva a rasentare la crudeltà, soprattutto quando vuole scuotere il “babbo” dal torpore nel quale sta scivolando. Dotata di una forte capacità di cogliere l’interiorità e i punti deboli delle persone, non si fa scrupolo di portarli alla luce, quasi con cattiveria, sembrerebbe, ma in realtà allo scopo di costruire un rapporto leale e privo di finzioni. Il che la rende non solo autentica, ma anche estremamente affidabile.
Così Dafne, e Carolina Raspanti, che la interpreta senza in realtà interpretarla, ma semplicemente “vivendola”, diventano subito un tutt’uno. E la stessa storia si fa, semplicemente, vita.
Un film con i piedi per terra, reale, con tutta l’umanità del vivere di tutti i giorni. Senza indulgenze né commiserazioni.

(Il 21 marzo, data d’uscita della pellicola, ricorre la Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down)