Una soporifera e inutile melassa della fiaba e della beatificazione della principessa “Grace”

Desktop2(di Paolo Calcagno) Aristotele Onassis riceve spesso i principi sul famoso “Christina”, dà feste dove scorrono fiumi di Cristal, ma preferisce la schiuma delle birre per ubriacarsi come i veri marinai; con le azioni del casinò e del presepe per straricchi di Bains de Mer che tiene per i santissimi, Ranieri che lo guarda di traverso e minaccia: ”Ari, vuoi che ti confischi lo yatch?”. A Palazzo e tra il barocco più lussuoso del pianeta, negli sfarzosi saloni dell’Hotel de Paris, si ammirano le toilettes più invidiate del mondo: da sogno, poi, le collezioni di pietre preziose che nobildonne e superstar varie ostentano sui generosi (anche di tacite promesse) décolletés e sulle venerate capocce. Paz Vega sfiora il porno (ma centra il ridicolo) nel tagliare l’aria con curve sexy e nel tremolio dei labbroni, quando dà forma alle esibizioni della divina Maria Callas.
Grace Kelly vive la sua fiaba infelice, sfreccia, solitaria, in Mercedes scoperta, sulla cornice del Principato, o si allunga sul retro della Rolls Royce se è in compagnia di qualche dama: ha sposato il principe, ma scopre di essersi ficcata in una prigione dorata, vorrebbe ritornare dal mago del brivido, l’“amato” Hitchcock, che in una visita-lampo le offre il ruolo della protagonista in “Marnie”, accanto al divo del momento, un certo Sean Connery, neo “agente 007”; il marito nicchia, il protocollo si oppone, le dame di corte si indignano, e lei per dispetto (e per disperazione) si taglia i capelli: “Chi ti ha autorizzato?” la rimprovera il “padrone” Ranieri, cui dà efficace carica di antipatia un ingrassato Tim Roth; lei si sfoga con una tiratina filo-americana sull’emancipazione femminile e poi si asciuga le lacrimucce davanti ai piccoli Alberto e Caroline. “Grace perché sei ancora qui?”, le chiede Ranieri: “Perché abbiamo dei figli. E perché ti amo”, la risposta esatta di Grace che precede l’immancabile bacino.
Dove si sparge tutta questa melassa? A Montecarlooo, come nell’irresistibile appuntamento cantato dal grande Johnny Dorelli. Ci hanno fatto il festone d’apertura, a Cannes 2014, con lo zuccheroso “Grace di Monaco” di Olivier Dahan, regista con la fissa delle biografie, già autore di “La Vie en Rose”, sulla vita di Edith Piaf. I Grimaldi non hanno gradito e hanno dato buca alla rituale sfilata sulla Croisette, giudicando infedele la storia del “matrimonio del secolo”, limitata al 1962, sei anni dopo le nozze tra il principe Ranieri di Monaco e l’attrice più celebrata del momento, premio Oscar per “La Ragazza di Campagna” e star preferita del geniale “Hitch” che l’aveva avuta quale protagonista di tre grandi successi (“Delitto Perfetto”, “La Finestra sul Cortile”, “Caccia al Ladro”).
Nicole Kidman, anche lei premio Oscar (“The Hours”), s’impegna al massimo, come sempre, in questo biopic sullo struggente dilemma di Grace Kelly, combattuta tra il richiamo di Hollywood e il contegno da regnante. La crisi internazionale morde il Principato di Ranieri che offre rifugio da “paradiso fiscale” ai riccastri di ogni dove, francesi inclusi. Il generale Charles de Gaulle, presidente francese, è pronto ad annettere quel fazzoletto di Stato che sottrae preziose tasse dovute a Parigi e fa accendere i motori dei carri armati, in direzione Montecarlo. Si profila la guerra più rapida di tutti i tempi. Kidman è attrice di razza, bravissima anche stavolta, ma “l’algida bellezza” di Grace Kelly, il suo fascino straordinario, restano irripetibili anche per la virtuosa Nicole. Il glamour, la dolente regalità, forse, fanno breccia nella pur apprezzabile interpretazione della Kidman, soltanto nelle scene finali dedicate al ricevimento per la raccolta di fondi a favore della Croce Rossa Internazionale. Quando Grace, convintasi a dire addio al Cinema, sceglie il ruolo della devota consorte del principe, sventa le trame oscure della cognata Antoinette (vendutasi alla Francia per regnare al posto di Ranieri) e stupisce tutti, compreso l’improbabile de Gaulle del film che, commosso, si strofina il nasone, assistendo al suo intervento sull’amore, l’amicizia e la pace, che salverà il destino del Principato Monaco.
La fedeltà storica, certo, non è l’obiettivo più rincorso da Olivier Dahan (“Hitch” e de Gaulle, ad esempio, non sono mai stati a Montecarlo), che dall’inizio persegue la sua idea di beatificazione della principessa che veniva da Hollywood e sceglie le scorciatoie più stereotipate (e false) per realizzarla. Eppure, Grace Kelly non meritava la sdolcinata noia e il pieno di inutilità che le regala a mani basse “Grace di Monaco”. A raccontare, anche in parte, il non-detto della sua vita di star e di principessa, fino alla sua misteriosa morte, ci sarebbe stata materia per un biopic strepitoso. Messa così, invece, la sua storia lascia indifferenti i più e con il rammarico quei fans della diva che si chiederanno che cosa sarebbe successo se avesse accettato la parte di “Marnie”: di certo avrebbe continuato a deliziarci dal grande schermo, di certo avrebbe vinto almeno un altro Oscar e, forse, le avrebbero dedicato un biopic più emozionante.
“Grace”, regia di Olivier Dahan, con Nicole Kidman, Tim Roth. Francia 2013