Una sorta di manifesto della generazione Millennial. Il film norvegese che ha entusiasmato la stampa internazionale

(di Marisa Marzelli) Julie (Renate Reinsve) è una quasi trentenne simpatica e disinvolta, vive a Oslo e non sa ancora che cosa farà da grande. Non sa decidersi su niente: né su quale professione scegliere, né su che uomo scegliere, né se farsi una famiglia con figli oppure no. Voleva studiare medicina ma poi ha deciso che le interessavano più le menti che i corpi e ha optato per psicologia, ma anche quello non le andava bene e ha scelto di diventare fotografa; intanto fa la commessa in una libreria. Convive con un autore di fumetti, intellettuale piuttosto famoso e più grande di lei. L’uomo vorrebbe accasarsi, avere dei bambini e perciò le fa conoscere i suoi amici contenti e sempre alle prese con figli capricciosi e ingestibili. Julie si annoia e un giorno s’imbuca ad una festa di matrimonio dove conosce un coetaneo simpatico. Molla l’uomo maturo, pensando di essersi innamorata, e rimane incinta. Alla fine si renderà conto che la giovinezza offre tante occasioni, ma le possibilità della vita non sono infinite.
La persona peggiore del mondo, quinto lungometraggio del regista norvegese Joachim Trier – anche cosceneggiatore – è una commedia romantica che sa scivolare con facilità e leggerezza dal tono leggero, addirittura comico, al drammatico. Da quando ha debuttato in concorso all’ultimo Festival di Cannes (dove ha vinto con Renate Reinsve il premio della migliore interpretazione femminile), sta raccogliendo consensi critici internazionali e la Norvegia lo ha designato come suo candidato agli Oscar del migliore film straniero (la rosa dei premiandi sarà poi resa nota a gennaio dall’Academy).
C’è da chiedersi come si spieghi tanto entusiasmo della stampa internazionale; in particolare The Guardian ha definito il film “già un classico” e una sorta di manifesto della generazione Millennial. Diviso in dodici brevi capitoletti tra loro autonomi, più un prologo e un epilogo, La persona peggiore del mondo denota subito il suo impianto letterario e la costruzione per frammenti; non manca di quell’umorismo un po’ lunare tipico di certa cinematografia scandinava e il personaggio della protagonista (sempre sorridente e che regge sulle sue spalle tutto il racconto) è sfaccettato. Ma, a fronte di questi pregi, mostra pure disparate influenze stilistiche (eufemismo per non dire scopiazzature); è piuttosto sbrigativo e superficiale nel trattare i vari temi evocati e, soprattutto, è gelido. Va bene non giudicare, ma un filo di empatia verso i personaggi, in una commedia, non guasterebbe.
Se vi state chiedendo chi sia la peggiore persona del mondo del titolo, non saltate subito alla logica conclusione che sia la protagonista con il suo allegro menefreghismo; sappiate che secondo il regista anche altri personaggi del film vedono se stessi sotto questa luce, perché vivere e amare oggi è complicato. Conclusione banale, che rafforza l’impressione che, sotto sotto, lo sia anche il film.