
Milano. La scena della pazzia di Marfa (Olga Peretyatko) in “Una sposa per lo Zar” di Rimskij Korsakov alla Scala
(di Carla Maria Casanova) “Una sposa per lo zar” è , in Russia, l’opera più popolare delle 15 scritte da Rimskij Korsakov, risulta presente nel repertorio di ogni teatro ed è spessissimo rappresentata. Alla Scala approda per la prima volta (coproduzione con lo Staatsoper di Berlino). Purtroppo, noi conosciamo Rimskijj soprattutto per le sue orchestrazioni o revisioni di celebri titoli, vedi quella celeberrima del “Boris Godunov” di Musorgskij, o del “Principe Igor” di Borodin o di “Una Notte sul monte Calvo”. Rimskij, insomma, lo conosciamo per vie traverse, oppure a spizzichi, come per il famoso “Volo del calabrone”, pagina della peraltro fascinosa sua ” Fiaba dello zar Saltan”, apparsa in una messinscena veramente fiabesca anni fa alla Scala o, -questa sì notizia gossip di prima grandezza, perché nel suo “Gallo d’oro” apparve il primo seno nudo dell’opera lirica (tanto osò Gabriella Ravazzi, a Trieste, nel 1973).
Ma facciamo le persone serie. “Una sposa per lo zar” alla Scala. Ieri sera.
Incominciamo dal fondo. Successo strepitoso per tutti gli interpreti e per il direttore. Ovazione addirittura. Poi sono usciti regista, scenografo, costumista, tecnico luci e video, e sono stati salutati da una selva di buu, come oramai è d’uso. Succedeva sempre con Ronconi, oggi considerato un vecchietto dai gusti classici, ma i contestatori devono aver dimenticato. Oppure quelli là (contestatori) non ci sono più. È passato tanto tempo.
Che Dimitri Tchernakov, 43enne rampante regista russo, non sia un classico, è assodato. Che stravolga i tempi, trasportandoli all’epoca attuale, si sa. Sulla stessa linea noi abbiamo Damiano Michieletto. Entrambi opinabili, a volte sopra o fuori dalle righe. Ma, sia l’uno sia l’altro, non sono cialtroni, e non soltanto fervono di idee (ingredienti in via di estinzione) ma persino le portano a termine con una certa coerenza. Insomma, sono intelligenti.
Tchernakov ha il pallino della lettura in chiave psicanalitica. Può irritare. Però accettiamo “les demoiselles” di Picasso o la Gioconda con i baffi di Dalì. Forse disturba riconoscere, nelle reazioni dei personaggi manipolati da Tchernakov, sentimenti e gesti che hanno continuo riscontro nel quotidiano, ma allora vien fatto di pensare che chi tanto indispone, forse sentimenti non ne ha mai avuti.
Sulla scena, dopo un ingannevole siparietto iniziale tipo “vecchia Santa Russia” (uno dice: che bello, una fiaba!) subito ci si trova proiettati nel mondo del Web. Con soluzioni a volte eccessive, ma spesso di sorprendente bellezza. Ambienti vivi, gestiti con la disinvoltura e i particolari della nostra realtà. L’azione di “Una sposa per lo zar” si svolge (svolgerebbe) ai tempi di Ivan il terribile. Come dice il titolo, si tratta della scelta per trovarsi la moglie (la Storia dice fosse la terza). Ma Ivan andò a cacciarsi in un ginepraio, cadendo in un intrico di fanciulle già promesse, di amori già ricambiati, di amanti delusi e soprattutto gelosi, insidia sappiamo quanto pericolosa. E qui si viene al bandolo perché subentra la vendetta, il solito maledetto filtro. È l’inizio di una ecatombe. Fine della storia.
È storia di potere e di passioni. Tchernakov vuole dimostrare che più forti sono le passioni. Musicalmente, un capolavoro. Musica nuova, rispetto a quella che ci aspetteremmo da Rimskij, così visceralmente russo. È opera a numeri di struttura convenzionale tipica del nostro melodramma ottocentesco (vedi la grande scena finale “della pazzia” di Marfa): arie, duetti, pezzi d’assieme e grandi cori. Alcuni motivi ricorrenti, benché non si possa parlare di reali leit motiv. La condotta vocale è lirica e cantabile. E il cast che la prende a carico, di altissima qualità. Tutti specializzati nel repertorio russo.
Da segnalare Anatoly Kotscherga, la giovane molto avvenente Olga Peretyatko (per chi ama il gossip, è la seconda moglie del direttore Mario Mariotti), Johannes Martin-Kranzle, Pavel Cernoch, Marina Prudenskaya e (vecchia conoscenza) Anna Tomowa-Sintow (fatta segno di un particolare baciamano da Barenboim).
Daniel Barenboim appunto, è sul podio, dividendo la sua fatica con quella di Bruno Casoni, istruttore del superlativo Coro. Spettacolo da vedere e da sentire. Poi ne riparliamo.
Teatro alla Scala, Milano. Ore 20. Repliche 5,8,11,14 marzo. Info 02.8879.2737 www.teatroallascala.org