Un’ora e venti per attraversare il muro del tempo. E, dopo quarant’anni, ritrovarsi a dover fare i conti con il passato

(di Piero Lotito) Una stagione, quella dell’infanzia, che morde e rimorde per sempre l’anima dell’adulto. Con le sue gioie, certo, ma anche con certe ferite che a quella età lasciano segni inestinguibili. Così è il caso di Tobia Guarneri, medico legale di Milano, che non trova più nel lavoro gli stimoli di inizio carriera e vive giorni cupi a causa della separazione dalla moglie. Lei lo ha lasciato, non potevano avere figli.
È in passaggi come questo che il mondo dell’infanzia – con quelle gioie e quelle ferite – si rimescola nell’adulto in una violenta pulsione di fuga, di cambiamento. E di ritorno al passato. Per Tobia, l’occasione arriva con la telefonata di un amico, Ettore, vecchio compagno di giochi, che lo chiama da Premosello, piccolo paese natìo di entrambi dislocato in Val d’Ossola, Piemonte. Una voce che Tobia non sente da quarant’anni. Ma che fa? Quando si è amici, il tempo non conta: niente invecchia, tutto è fermo all’anno zero. È morto Lupo, annuncia Ettore. E Lupo era il matto del paese. Se Tobia bambino gli era affezionato, Tobia adulto non può mancare al suo funerale. Come non cogliere questa esigenza morale, rimangiandosi l’infantile giuramento fatto a un albero di non farsi più vedere in paese, e intanto fuggendo da un presente milanese così insulso?
È l’avvio de L’arte sconosciuta del volo (Giunti) di Enrico Fovanna, al secondo romanzo dopo Il pesce elettrico, Premio Stresa 1996, pubblicato da Baldini & Castoldi e nel 2019 riproposto dalla stessa Giunti. Un avvio di notevole potenza narrativa, capace di rievocare l’infanzia del protagonista con un registro espressivo di incantevole, malinconico umorismo. Un tempo, quello dell’infanzia, si diceva, che comprende anche dolorose ferite. A Premosello, pur tra giochi e tenerezze, alla vigilia del giorno dei morti del 1969, lungo una strada di campagna, viene ritrovato sotto un metro di terra il corpo di un compagno di scuola di Tobia, «colpito da un corpo contundente, una roncola o un pesante tubo di ferro». Pochi mesi prima, era toccato a una bambina, trovata morta ai margini di un torrente. Due delitti che gettano il paese nel terrore. E Tobia, che proprio il giorno prima del ritrovamento del compagno si era scazzottato perdente con lui arrivando a desiderarne la morte, prova rimorso e vergogna.
Le indagini, i sospetti su un frate che ama i bambini e che Tobia sa innocente, la cappa di paura che scende sul borgo e sul mondo dell’infanzia. Magistrale in questa prima parte del romanzo è appunto la descrizione dell’universo incantato dei bambini, con il suo candore e l’ardimento, i primi innamoramenti, come quello di Tobia per Carolina: «Di lì a poco, si girò ancora a fissarmi, le iridi scure e profonde, una goccia di castagna, proprio come quel pomeriggio di sei mesi prima, alla stazione. Un solo istante, uno sguardo laser che avrebbe potuto perforare il marmo. Uno sguardo privo di sorpresa e senza sorriso». Ma il tempo passa, divorato dalla vita. E Tobia, una sera piovosa di quarant’anni dopo, nella sua casa milanese riceve quella telefonata di Ettore. «Sai chi se n’è andato proprio ieri? Il vecchio Lupo. Vuoi venire a salutare almeno lui?».
È qui lo snodo, a suo modo incrociato, della vita di Tobia e del romanzo di Fovanna: per il personaggio, nella possibilità inebriante di lasciare il presente («Mi sento come tornato agli anni dell’università, solo un po’ più vicino alle nuvole. Carico e leggero, alla vigilia dell’ennesima svolta») e di ritornare al passato per saldare vecchi conti con i propri tormenti, per difendere memorie e, insieme, rivelare ciò che un bambino non poteva mai avere il coraggio di rivelare. Per lo scrittore, d’altro canto, lo snodo è nella necessità di affrontare la dura prova dell’abbandono dell’accento elegiaco – pur leggero – ed evocativo per immergersi, diremmo, nella presa diretta della realtà (sempre narrativa), dunque nel caldo dello stesso presente. E, insomma, Tobia si mette al volante e in un’ora e venti attraversa il muro del tempo. «C’è uno iato abnorme (pensa Tobia quando in compagnia di Ettore, attraversando Premosello, osserva quel che non c’è più e quel che ora c’è, ndr), che costringe a una sintesi immane delle proprie esistenze, come se fossero di qualcun altro. Nello sforzo, le si riconosce appena. In pochi secondi si riassumono matrimoni, separazioni, figli nati o desiderati, carriere e sogni infranti, viaggi e avventure». Nel contatto col passato – pur dopo lo «iato abnorme» -, ritorna alla mente di Tobia, se mai ne fosse scomparso, il corpo sotterrato di Gioacchino, le accuse, la cappa del terrore sulla comunità di Premosello.
Qui, inevitabilmente, L’arte sconosciuta del volo imbocca il timbro del giallo, che noi non percorreremo per lasciare ai lettori di questo coinvolgente (aggettivo ben speso) romanzo il piacere di vivere per intero un’avventura che a lungo rimarrà nell’archivio della loro memoria.

Enrico Fovanna, “L’arte sconosciuta del volo” – Giunti Editore 2020 – pp. 341, € 18