(di Andrea Bisicchia) Ho già indicato, a proposito di “Morte della tragedia” di Steiner, la “seconda lettura” come metodo critico, convinto che essa contribuisca meglio a capire il pensiero di un autore. Consiglierei anche la “seconda visione” di uno spettacolo, il cui linguaggio scenico, per la sua complessità, non sempre può essere recepito del tutto durante la prima visione. Ciò che propongo, quindi, è una metodologia di approccio ai testi o alle rappresentazioni che dia maggiore credibilità all’esercizio critico, oltre che alla sua necessità, specie quando questo ha a che fare con dei classici della saggistica o della messinscena.
Con un simile spirito ho deciso di rileggere un testo noto, non solo agli studiosi, qual è “La voce addolorata. Saggio sulla tragedia greca” di Nicole Loraux, sia per ricordare una antichista prematuramente scomparsa, sia per le tesi controcorrente che esprime.
Per esempio, in “La città divisa”, Neri Pozza editore, la Loraux aveva sostenuto la tesi, apparentemente paradossale, che, a fondare la città greca, non fossero né la libertà, né la comunità, bensì la divisione, la guerra intestina, il famoso “Polemos” eracliteo, che tendeva all’unità perduta, attraverso lo scontro. Questa dovrebbe essere, in fondo, la peculiarità della politica, quella per la quale, il conflitto non dovrebbe essere banale, bensì un atto di pensiero e di consapevolezza e, quindi, di riflessione critica.
In “La voce addolorata”, Nicole Loraux espone ancora una tesi controcorrente, poiché afferma, dimostrandolo, che la tragedia greca non è la rappresentazione della politica del tempo, quanto quella dell’antipolitica che si evidenzia nel canto luttuoso che, in molti casi, si trasforma in Oratorio. Se l’essenza della politica è il conflitto, l’essenza del tragico è “il legame che divide”, non proprio attraverso il conflitto, ma attraverso il lutto e la voluttà delle lacrime, tanto che il fascino tragico va recepito nel lamento che è una forma alta di teatralità e che sta a base della stessa origine del genere tragico.
Se ci rapportiamo alle origini del teatro in lingua volgare, come non pensare al planctus e alla conseguente forza drammatica presente nelle Laudi e nelle Rappresentazioni sacre. L’autrice, a conferma della sua tesi, propone due tragedie emblematiche: “La Presa di Mileto”, di Frinico, e “I Persiani” di Eschilo, ricordando l’atteggiamento del pubblico che pianse esageratamente dinanzi alla rappresentazione dell’evento storico e che, proprio nel pianto, ricercò la catarsi, mentre quello che assistette alla rappresentazione dei “Persiani” apparve meno coinvolto, perché era cambiata la vittoria (questa volta in favore dei greci) e, quindi, era cambiato il lutto.
Frinico fu osteggiato e censurato, Eschilo osannato.
È ancora il lutto a essere protagonista di “Le Troiane”, o di “Le Supplici”, un lutto, che si consuma sulla scena e non nella città, dato che si è coinvolti in teatro rispettando la modalità della finzione. Insomma, ciò che l’autrice intende privilegiare, nella voce addolorata, non è tanto l’ascolto rispetto alla visione, quanto il canto rispetto al discorso(Logos), ovvero il carattere lirico della tragedia rispetto a quello eroico o politico, grazie proprio alla qualità musicale della lamentazione.
Nicole Loraux, “LA VOCE ADDOLORATA. Saggio sulla tragedia greca” – Einaudi, 2001 – pp 180 – € 17,50