Venezia Toronto Cannes: la guerra dei festival. Azzardi e strategie alla ricerca del colpo grosso

collage pacino veneziaVENEZIA, lunedì 1 settembre
(di Marisa Marzelli) Anche per il festival cinematografico internazionale più carico di storia gli esami non finiscono mai. Alla 71ma Mostra di Venezia (27 agosto-6 settembre) in superficie sta andando tutto piuttosto bene; i film sono in genere promossi dalla critica, i divi arrivano, c’è grande varietà di offerta. Ma i festival stanno cambiando pelle e baricentri di interesse. Oggi, a chi e a che cosa serve partecipare a un rinomato festival? Perché le Majors scelgono una manifestazione invece di un’altra? Meglio una rassegna per i critici o per un pubblico ruspante e numeroso? Meglio privilegiare la scoperta di nuovi talenti o compiacere l’industria?
E si potrebbe andare avanti con le domande, che non fanno dormire sonni tranquilli a direttori e programmatori. Venezia resta il più prestigioso festival italiano, ma la partita (in un mondo dove ogni area geografica ha le sue rassegne di riferimento; ad esempio i film asiatici per farsi notare devono esserci a Pusan, nella Corea del Sud) si gioca in campo almeno continentale. Perché andare ai festival costa, per la stampa che deve fare da cassa di risonanza e per i produttori che vogliono dare ai loro prodotti la massima visibilità (sperando poi nella resa economica). È marketing contro cultura. Ma la faccenda è più complessa, perché tradizione, prestigio e denaro s’intrecciano e si sommano.
Il direttore artistico Alberto Barbera sa che l’avversario principale di Venezia si chiama Toronto. Già da qualche anno tra i giornalisti gira la voce che (per chi può farlo) forse è meglio spostarsi sul festival nordamericano. Le cui date (quest’anno 4-14 settembre) in parte si sovrappongono a Venezia. Perciò Barbera riserva le sue cartucce più ghiotte nei primi giorni. L’anno scorso ha avuto successo inaugurando la Mostra con Gravity di Cuaron, rivelatosi uno dei film dell’anno (7 Oscar, tra cui quello di miglior regista). La contromossa di Toronto è stata 12 anni schiavo di Steve McQueen, premiato poi agli Oscar come migliore film dell’anno. Stavolta Venezia ritenta il colpo con Birdman, già indicato come un titolo di punta della nuova stagione.
Il direttore sta anche corteggiando i francesi (in questa edizione hanno ben quattro titoli in concorso) e gli è riuscito di acchiappare Al Pacino con due film. Fregiarsi della prima proiezione di un titolo che poi diventerà uno di quelli imperdibili della stagione alza di molto la reputazione del festival. Ma il mercato italiano è mediamente piccolo e non sempre interessante per i grandi Studios, che spesso preferiscono una vetrina più vicina a casa, puntando sul mercato di lingua inglese. E se quelli il film non glielo danno, Venezia può studiare le migliori strategie ma non c’è niente da fare.
Questi, a grandi linee, i meccanismi. Poi, spazio ai compromessi. Ad esempio, quest’anno i tre film italiani in gara dopo il debutto in Laguna voleranno a Toronto, per farsi conoscere e perché il festival canadese nella sua colossale rete a strascico (mostra circa 400 nuovi titoli) vuole offrire la panoramica più ampia possibile. Con un ulteriore incentivo: Toronto non ha un concorso con giuria di esperti; è il pubblico ad assegnare il People’s Chioce Award. Che diventa anche un gigantesco test screening, cioè quelle prove fatte per prevedere le reazioni del pubblico prima che il film esca nel circuito commerciale.
Cannes resta il festival più ambito – in concorso ormai ha quasi solo maestri del cinema e può permettersi di provare a lanciare qualche nuovo talento (se poi l’operazione non funziona, se ne accorgeranno in pochi) – e vanta, a côté della manifestazione artistica, un gigantesco mercato che manca a Venezia, come le mancano strutture adeguate (Toronto ha 23 sale in città, Cannes il mitico Palais e una miriade di sale sparpagliate).
L’impressione è che la Mostra veneziana – nata nel 1932 nell’ambito della Biennale  – sia ingabbiata tra la volontà di rispettare la sua vocazione culturale (non per niente si chiama Mostra d’arte cinematografica) e la necessità odierna di aggiornare infrastrutture e spirito manageriale.