Volle rivelare all’umanità (che non l’avrebbe capito) il suo sogno d’amore e d’innocenza. Più ridicolo e pazzo di così

MILANO, mercoledì 8 maggio ► (di Paolo A. Paganini) Lui dice di essere un uomo ridicolo. E, per il fatto d’aver coscienza di sé, c’è da non credergli. Una vanteria? O solo voci che lui ha raccolto dal malanimo della gente. Forse. “E adesso dicono che sono pazzo… Sarebbe un avanzamento di grado. Ma adesso non mi arrabbio più, adesso li trovo tutti cari. Anche quando ridono di me”. E poi aggiunge: “Ma provo tristezza, perché non conoscono la verità, mentre io la conosco…” Allora è proprio pazzo!
Ma lui è stato un uomo di studio. Ha fatto l’università. E allora conosce bene i termini “ridicolo” e “pazzo”, ne è consapevole. E quanto più passava il tempo, anno dopo anno, tanto più ne era consapevole.
Parola di Dostoevskij.
Che descrive così, già dall’incipit della narrazione, il suo “uomo ridicolo” (“Il sogno di un uomo ridicolo”, racconto fantastico del 1876, da “Diario di uno scrittore”).
Poi, via via, il racconto si fa sempre più visionario, o allucinatorio, s’intride di messianiche verità. Meno Dostoevskij (1821-1881) e più Tolstoi (1828-1910), in ispirate e salvifiche estasi d’amore per l’umanità, come recitate da Tolstoi dalla sua tenuta di campagna a Jasnaia Pojana, ispirate a ideali di perfezionamento e di santità. Ma i demoni di Dostoevskij erano più tormentati e infelici, anche perché, per lui, era la stessa umanità ad essere infelice e tormentata.
Come poteva essere diversamente dopo quel fatidico 1849, quando venne ingiustamente arrestato, per motivi politici, e sottoposto al crudele scherzo di Nicola I, che impose una finta condanna a morte per fucilazione, per poi, al momento dell’esecuzione, commutarla all’ultimo momento nell’esilio in Siberia. Una perfidia oltre i limiti dell’umana sopportazione (“Memorie dalla casa dei morti”).
E la vita di Dostoevskij cambiò per sempre, pur diventando, e forse proprio per questo, il più grande letterato e romanziere russo.
I tratti della sua genialità creativa e febbricitante emergono anche dai suoi racconti (senza scomodare i più grandi e celebri romanzi). Come, appunto, “Il sogno di un uomo ridicolo”, già giustamente definito più apologo che racconto.
Dopo l’incipit anticipato più sopra, l’uomo ridicolo, in una fredda sera di novembre, dopo aver scacciato in malo modo una bambina che gli chiedeva aiuto, già scosso dalle sue “ridicole” consapevolezze e in crisi per la cattiva azione commessa, decide di andare a casa e bruciarsi le cervella. Ma, poco prima di spararsi, si addormenta sulla sua poltrona. E sogna di spararsi. E, dopo la sepoltura, sogna che un essere angelico lo prende per mano e lo conduce in un pianeta lontano, tra esseri buoni, innocenti e felici, in un novello Eden di pace e di amore, tutti in armonia con se stessi e con la natura. Ma il suo arrivo, con i suoi germi di orgoglio e cattiveria, contamina quell’innocente umanità, che impara a conoscere la lussuria, l’inimicizia, le guerre, dimenticando la primigenia purezza. E quel mondo si trasforma in quello che l’uomo ridicolo aveva abbandonato.
E qui si risveglia. Ma, abbandonati i suoi progetti suicidi, decide di andare per il mondo a predicare le verità che ha visto nel suo sogno. E per aiutare infine quella bambina che lui aveva scacciato. Allegoria della purezza dell’arte e dello scrittore, nella sua missione di aiuto e di elevazione della società. In nome dell’amore e del ritorno alla purezza primigenia. E così sarà di nuovo deriso e considerato un pazzo. O no?
All’Out Off, in un’ora e cinque minuti senza intervallo, Mario Sala ha interpretato, con superba padronanza, questo “Sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij, traduzione e drammaturgia di Fausto Malcovati e Mario Sala, regia di Lorenzo Loris.
In scena, con il protagonista, un centinaio di spettatori a platea volutamente vuota, in un rituale di tesa e commossa attenzione, come un confidente salotto di amici, mentre Sala dominava la scena, prima ironizzando sull’eccentrica natura clownesca del personaggio, più risibile che ridicolo. Ma progressivamente passando a un nucleo centrale di ispirata poesia, in un afflato di amore e d’innocenza. Forse di dolore. Togliendosi le poche ridicole bardature di clown, per passare, in scuro, a una sua coraggiosa esaltazione d’amore verso l‘umanità. Che allora non l’avrebbe capito. E che oggi gli darebbe del pazzo.
Caldi applausi alla fine per tutti. E una particolare segnalazione alla intensa regia di Lorenzo Loris. Quando Mario Sala abbandona la scena e va a concludere le ultime vaticinatorie battute fra gli spalti della platea vuota: da brividi.

“IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO”, di Fëdor Dostoevskij. Traduzione e drammaturgia di Fausto Malcovati e Mario Sala. Regia Lorenzo Loris. Con Mario Sala. scena Daniela Gardinazzi, costumi Nicoletta Ceccolini. Consulenza musicale Ariel Bertoldo. Prima nazionale. Repliche fino a domenica 2 giugno. Al Teatro Out Off. 20155 Milano via Mac Mahon 16.

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