Volti appena evocati, eppure più vivi di quelli incontrati nella realtà. Quando l’anima gliela danno il teatro o la letteratura

29.4.16 collage patrizia magli(di Andrea Bisicchia) La letteratura e il teatro costruiscono le storie inventando dei personaggi che, spesso, sono persone prese dalla vita reale, chiamati personaggi di carta e di scena, ma che acquistano spessore umano grazie alla nostra immaginazione, dato che ciascun lettore o ciascun spettatore li ricrea a propria immagine e somiglianza. Si può obiettare che i personaggi di scena abbiano un volto e un corpo, quello dell’attore, mentre quelli di carta è la scrittura a costruirli, tanto da poter affermare che il linguaggio scritto sia diverso da quello verbale, così come la struttura della scena lo è rispetto a quella narrativa, benché, entrambe, intendano raccontarci delle storie.
Patrizia Magli, docente di semiotica all’università di Bologna, ha appena pubblicato il volume: “Il volto raccontato. Ritratto e autoritratto in letteratura”, edito da Cortina, indirizzando la sua ricerca su una serie di romanzi che le hanno permesso di dimostrare la sua tesi, ovvero che è possibile incontrare dei personaggi i cui volti, appena evocati, possono apparire più reali delle persone conosciute, pur consapevole del fatto che tali personaggi nascano dalla nostra esperienza sensoriale e che siano i moti interiori a mutare la percezione del volto. Tutto dipende dalle tecniche descrittive, così come, in teatro, tutto dipende dalle tecniche rappresentative. Entrambe hanno in comune la parola con cui si cerca di rappresentare l’irrappresentabile.
Per Patrizia Magli, il volto cambia col variare delle nostre emozioni, vive, però, in un rapporto simbiotico con il linguaggio, in particolare, con le correlazioni lessicali che danno maggiore unità ai lineamenti di un volto che si concretizza in una immagine carica di significati, preludio alla genesi del personaggio.
L’autrice indaga volti famosi della letteratura ottocentesca e novecentesca, distinguendo tra personaggi principali e secondari, tra descrizione oggettiva e soggettiva. Gli autori passati in rassegna sono Manzoni, Balzac, Sue, Zola, Dumas, Hugo, Flaubert, Tolstoj, Joyce, Sartre e tanti altri. I personaggi sono quelli dell’Innominato, di Papà Goriot, di Bouvard e Pécuchet, tracciando, attraverso di essi, una linea di separazione tra fisiognomica e patognomica, sottolineando la differenza tra la tipologia e il carattere, partendo proprio da “I Caratteri” di Teofrasto e dalla retorica classica, confrontandosi con gli studi di Barthes e di Greimas.
La Magli distingue i volti belli da quelli brutti e da quelli mostruosi, la bellezza, sostiene, è più statica, benché rimandi a una infinità di codici, basterebbe leggere, per esempio, il ritratto di Carmen fatto da Mérimée o quello di Gerty creato da Joyce nell’Ulisse, per comprendere come il volto ne racconti il vissuto, magari attraverso la tecnica del contrasto o dell’antitesi. C’è da dire che la morfologia del volto possa subire la pressione delle passioni che sono molteplici: la gelosia, l’avidità, la paura, l’ansia etc., vedi, a questo proposito, i volti belli di Madame Bovary o di Anna Karénina, contrapposti a quello bruttissimo di Fosca che Igino Tarchetti, a sua volta, contrappone a quello bellissimo di Clara, attraverso una struttura chiasmatica (oppositiva).
Se la bellezza è irrappresentabile, la bruttezza mostra dei segni concreti che sono radicati in un corpo, a differenza del mostruoso, che è disordine, oltre che anomalia dei tratti somatici, i cui personaggi esibiscono un “eccesso o carenza di materia” fino ad arrivare al grottesco e al terrifico. Tutto ciò è possibile, sostiene la Magli, grazie alla forza della lingua che ha il potere di mettere “sotto gli occhi” l’invisibile.

Patrizia Magli “Il volto raccontato. Ritratto e autoritratto in letteratura”, Raffaello Cortina Editore 2016, pp 270, € 16