Walter Bonatti. Così l’eroe del K2 andava, macchina fotografica a tracolla, sulle orme dei grandi esploratori

Gruppo dell’Illampu (6362 metri) nella Cordillera Real de Bolivia. Ottobre 1973 - © Walter Bonatti/Contrasto

Gruppo dell’Illampu (6362 metri) nella Cordillera Real de Bolivia. Ottobre 1973 – © Walter Bonatti/Contrasto

MILANO, giovedì 13 novembre
(di Patrizia Pedrazzini) C’era un tempo – nemmeno tanto lontano, in fondo – nel quale le cime delle montagne non erano assediate da centinaia di ovovie, cabinovie, funivie e quant’altro l’ingegno umano sia riuscito, negli ultimi decenni, a sfornare. E gli alpinisti calzavano scarponi di cuoio, non di goretex. E si riparavano dal freddo (o almeno ci provavano) con maglioni di lana, non con t-shirt tecniche in polipropilene. E il modo più sensato per vedere la Patagonia non era aprire Google Maps, ma andarci. Se possibile. Altrimenti lasciar correre la propria fantasia sul reportage fotografico di chi, la fortuna di andarci, l’aveva avuta veramente.
Walter Bonatti (1930-2011), lo scalatore del K2 e del pilastro sud-ovest del Dru, del pilone centrale del Bianco e della nord del Cervino, e di decine e decine di altre conquiste alpinistiche in ogni parte del globo (con i trionfi, ma anche i dolori e le amarezze che inevitabilmente accompagnano una simile scelta di vita), di quel tempo – che è stato poi il Novecento – ha fatto parte. E a pieno titolo. Ha coltivato ai massimi livelli la passione per la montagna, almeno dal 1949 al ’65. Poi, quando sulla carriera di alpinista estremo ha deciso di chiudere una porta, un’altra ne ha subito aperta, sui reportages fotografici, da ogni angolo del pianeta, che per quattordici anni, fino al ’79, lo hanno legato al settimanale “Epoca”.

Antartide (quadrante neozelandese). Novembre dicembre 1976 - © Walter Bonatti/Contrasto

Antartide (quadrante neozelandese). Novembre dicembre 1976 – © Walter Bonatti/Contrasto

Ora circa novanta fotografie di quei viaggi danno corpo, insieme a un video commentato dallo stesso Bonatti, e a un’altra quarantina di scatti non suoi ma che hanno lui e le sue imprese per oggetto, alla mostra “Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi”, al Palazzo della Ragione di Milano fino all’8 marzo.
Immagini dalla Terra, dunque, ma anche autoritratti sullo sfondo di ambientazioni grandiose, nei quali la presenza di Bonatti all’interno delle foto dà vita a una sorta di racconto dell’avventura e, forse, di sé. È lui l’uomo che si cala nel vulcano arroventato, che si fa strada nelle giungla a colpi di machete, che bivacca sui ghiacci del Polo. Ed è sempre lui l’esploratore che nuota con gli ippopotami nei fiumi limacciosi, cammina fra luce e ombra sul crinale di una duna nel deserto, scivola in canoa sulle tracce dei cercatori d’oro. Bonatti bello e coraggioso, giovane e forte. Bonatti davanti e dietro l’obbiettivo. Bonatti che imparò a fotografare e a scrivere le avventure che viveva in prima persona con lo stesso scrupolo che aveva posto nell’apprendere i segreti della montagna. Sulle orme di Stevenson, Defoe, Conan Doyle, Melville, Conrad, Jack London. “Sono andato nel mondo intero a vivere i sogni della mia giovinezza, a vivere quello che avevo letto nei romanzi degli autori d’avventura. Ho cercato l’isola di Robinson. Ho vissuto alcune situazioni di Melville nelle valli dei Taipi. Quando fantasia e realtà si fondono è l’avventura meravigliosa. Al ritorno ero poi impaziente di vedere le fotografie che avevo scattato. I primi viaggi li ho fatti con un libro alla mano, per confrontare il contenuto”.
Un’avventura che Bonatti non si accontenta però di raccontare e fotografare. Lui di quella avventura, come delle arrampicate sulle pareti più impervie, vuole essere il protagonista. Di qui il ricorso, a piene mani, alla tecnica dell’autoscatto, con sistemi sofisticati e ingegnosi: fili elettrici lunghi 50-100 metri che collegano la macchina a un pulsante, transistors e impulsi radio, centraline grazie alle quali “potevo comandare fino a tre macchine fotografiche, ognuna con la sua lunghezza focale”. D’altra parte non avrebbe potuto fare altrimenti: per “Epoca” aveva praticamente carta bianca, dalla scelta della meta all’organizzazione del viaggio, alle fotografie, agli articoli che scriveva. Con il risultato di riuscire a cogliere e a rappresentare in una sola immagine, sia la gioia, e la fatica, per una scoperta, sia la vastità degli orizzonti che andava esplorando.
Bonatti alpinista. Bonatti fotoreporter. Bonatti che con i suoi scatti precisi, curati nei dettagli e dai colori accesi porta nelle case di un’Italia ancora poco abituata a viaggiare il profumo delle terre lontane, la voglia di partire, di toccare con mano le solitudini e i silenzi di una natura magari difficile, come la montagna, ma sincera e leale. Bonatti protagonista di un tempo nemmeno tanto lontano. Quando l’Africa era ancora “selvaggia”, gli indios non erano ancora in via di estinzione, e i ghiacci eterni non avevano ancora incominciato a sciogliersi.
La mostra è prodotta da Comune di Milano, Palazzo della Ragione, Civita, Contrasto e GAmm Giunti.

“Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi” – Milano, Palazzo della Ragione Fotografia, fino all’8 marzo

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