
Una scena di “Re Lear”, rappresentato nell’ambito del Premio Europa. Con Ennio Fantastichini e Michele Di Mauro, regia di Giorgio Barberio Corsetti (foto Achille Le Pera)
ROMA, giovedì 14 dicembre ● NOSTRO SERVIZIO ●
(di Marisa Marzelli) Il Premio Europa per il teatro non è un festival. O meglio, è anche un festival ma è soprattutto un corso avanzato di aggiornamento su fermenti e tendenze della scena contemporanea. Oggi il teatro, in generale, ha pochi soldi e scarsi finanziamenti, ma le idee non mancano. Sempre più si coltivano l’espressione non verbale, l’energia fisica e la prestanza atletica richieste ad attori e performer, la contaminazione con altre arti – a partire da quelle visive –, l’uso con valore espressivo delle tecnologie. Tutti elementi presenti anche in questa 16ma Edizione del Premio.
Ma accanto a tali conferme del trend è possibile scoprire in incontri, tavole rotonde e conferenze (forse in apparenza più marginali rispetto agli spettacoli) le modalità di ricerca con cui l’arte teatrale studia e prova a comprendere la società in cui viviamo. Ne è un esempio l’incontro dedicato a Critical Stages/Scènes Critique, la rivista gratuita online bilingue inglese/francese, che conta lettori in 203 nazioni, rivolgendosi a critici, teorici e anche pubblico generalista. Un gruppo eterogeneo di persone confeziona uno dei pochi periodici a livello globale, che offre una piattaforma per esplorare e discutere manifestazioni teatrali in tutto il mondo.L’attuale direttore è Savas Patsalidis, docente in varie università e autore di libri su critica e teoria del teatro. La rivista riceve un generoso supporto dall’Università dell’Illinois.
Stufi di parlare della morte del teatro e della crisi della critica (che nel frattempo non si è risolta), quelli della rivista si sono convinti che bisogna comunicare di più tra teorici, opinionisti (è la differenza che viene fatta tra accademici e giornalisti), lavoratori della scena e pubblico. Hanno cominciato a organizzare conferenze con esperti (più volte l’anno, nel quadro dei festival), conferenze su temi come teatro e populismo e riflessioni sulla libertà di stampa che tocca anche il teatro in alcune parti del mondo.
Curioso e interessante il meeting sui 50 anni del BITEF, il festival internazionale del teatro sperimentale di Belgrado. Anche se il giudizio è controverso, qualcuno l’ha definito il miglior festival in Europa perché attraverso gli spettacoli passati da questa manifestazione si potrebbe fare la storia teatrale della seconda metà del ‘900. Non la si potrebbe invece fare attraverso i cartelloni più istituzionali di Avignone e di Edimburgo. Il BITEF, anche attraverso spettacoli non compresi, criticati, rifiutati, ha saputo fornire un’idea del teatro del futuro nel tempo presente. L’attuale direttore artistico Ivan Medenica, in carica da due anni, ha ricordato la crisi degli anni ’90 quando, a causa dell’embargo contro la guerra in Serbia il festival aveva perso la sua internazionalità. Ma con qualche compromesso, si è tornati a una stabilizzazione nel ’94.
Nato al tempo della guerra fredda, con l’Europa divisa in due blocchi ideologici, che funzione può avere oggi questo festival? Secondo il direttore, la sfida odierna consiste nel pensare al teatro legato alla nozione di modernità. In un’epoca post-post moderna, si tratta di riuscire a riconoscere ciò che è sovversivo, innovativo o almeno non tradizionale. Ma anche sul concetto di tradizionale c’è da discutere. Quel che è radicale nel teatro asiatico magari non lo è in quello tedesco. Se il BITEF è stato una vittima della caduta del Muro di Berlino, oggi funge da ponte tra il nord e un sud non europeo. E va ricordato che il BITEF nel 1999 era stato insignito del Premio Europa.
La programmazione degli spettacoli di quest’edizione si è aperta con un “ritorno”, quello di un artista già premiato in passato. Nello specifico il regista Giorgio Barberio Corsetti (vincitore del Premio Nuove Realtà nel 1994) con il suo nuovo Re Lear, in abiti moderni, con schermi e videocamere, andato in scena al Teatro Argentina. Ma nella conversazione di Corsetti con il critico de Il Manifesto, Gianfranco Capitta, non si è parlato di questo Re Lear. Quasi 67 anni, Corsetti ha cominciato a fare teatro a 20. La sua tradizione, ha detto con una battuta, è l’avanguardia storica, sin dai tempi della Gaia Scienza, compagnia da lui co-fondata negli Anni ‘70. Anche se gli è sempre piaciuto mescolare i linguaggi, raccontare intrecci di elementi diversi, si definisce un troglodita in ambito di tecnologia, eppure la curiosità per ciò che non conosce lo ha portato a sperimentare con monitor e strumenti simili. Non solo nella prosa ma anche nel teatro d’opera, utilizzando scenografie realizzate con stampanti in 3D e lavorando con giovani di spiccate capacità tecnico-scientifiche (grafici, videomaker, ecc.), dotati di una cultura diversa dalla sua, legata ad altri universi, come quello dei fumetti. Un capitolo della chiacchierata è stato riservato ai suoi rapporti con gli attori, ai quali ha sempre richiesto anche preparazione atletica. E alcuni che hanno cominciato con lui sono diventati star, come Ennio Fantastichini (il Lear dell’allestimento di cui sopra), Filippo Timi o Fortunato Cerlino, il boss Savastano della serie tv Gomorra.