(di Andrea Bisicchia) – Nel 1977, Vittorio Gassman realizzò un’edizione di “Edipo Re”, con la traduzione di Quasimodo, che la RAI riprese con la regia televisiva di Franco Enriquez. Ciò che distinse quella messinscena dalle altre, fu l’idea di rendere protagonista la peste, col Coro che andava in cerca della purificazione della pandemia mentre del fango, simbolo della peste, continuava a bollire, ma che si poteva spegnere solo nel caso in cui ne fossero state trovate le cause.
In un libro, pubblicato da Cortina, “Far fronte all’ombra. Cosa insegnano le pesti”, Roberto Escobar fa spesso riferimento alla peste che colpì Atene nel 426 a. C., durante il secondo anno della guerra del Peloponneso, la stessa che ispirò la tragedia di Sofocle.
La peste, proprio perché non usa armi né ideologie, si mostra per quello che è, un flagello che svela quanto sia effimera la nostra vita. L’autore si impegna a raccontarci cosa, in passato, ci abbiano insegnato le pesti, facendo ricorso a una metodologia di carattere storicistico, col soccorso di altre discipline, a cominciare dall’ermeneutica, per rintracciare le origini linguistiche del termine che rimandano a sinonimi come calamità o disgrazia, inoltre arricchisce il suo percorso della “conoscenza dell’ombra”, attraverso una serie di riferimenti a romanzi, racconti, film, grazie ai quali, gli aspetti letterari o cinematografici cercano di semplificare il rapporto con la malattia, facendo convivere l’elemento fantastico della creazione artistica con quello della ricerca scientifica, con riferimenti ai vari cronisti del tempo in cui vengono ambientate le trame.
Si diceva che Escobar sia partito dalla peste ateniese, utilizzando le cronache di Tucidide, per approdare a quella di Giustiniano, con riferimenti alle cronache di Procopio, per continuare con la peste del 1348 a Firenze, ben documentata da Giovanni Villani, o con la peste raccontata da Manzoni, Leopardi, La Fontaine, De Foe, Puskin, Poe, Pirandello, Camus, autori che, ciascuno a suo modo, hanno descritto lo spettacolo della “belva” che divora gli ammalati che spesso, come reazione, ricorrevano all’autoinganno, credendo di sfuggire al male o cercando una specie di consolazione che invano si sforzava di imporsi alla “bestia eccitata” o incattivita dalle decisioni politiche o religiose che venivano prese per poterla sconfiggere.
Le pagine più intense sono quelle dedicate al capolavoro manzoniano, nelle sue tre stesure, con ampio florilegio delle cronache del Tadino o del Ripamonti sulla peste milanese, a cui Manzoni attinse nelle pagine ad essa dedicate, con riferimenti anche alle processioni, alle orazioni, alle suppliche al Cardinale Federico per favorire la “traslazione del Santissimo corpo di Carlo Borromeo” perché potesse intercedere presso la misericordia divina.
Non mancano le pagine dedicate a coloro che fecero “bottega”, utilizzando “il pubblico spavento”, oppure ai demagoghi, ai politici corrotti che approfittavano del triste evento. Intense anche le pagine critiche dedicate al racconto “La mosca” di Pirandello e, in particolare, quelle dedicate alla “Peste” di Camus.
Il lettore può trarre tanti insegnamenti del materiale messo a disposizione da Roberto Escobar, per capire in che modo l’uomo sia sempre convissuto con le paure delle pestilenze, non molto diverse da quelle di oggi, dopo l’ondata di covid, alle quali è difficile credere a causa delle incertezze dovute alle stesse verità scientifiche. Esistono delle verità raggiungibili, verificabili e altre irraggiungibili che non si possono verificare. Le verità, in fondo, si divertono a creare tranelli, confusioni, illusioni, inganni, autoinganni, soprattutto quando le pesti perdurano nel loro flagello.
Roberto Escobar, “Far fronte all’ombra. Cosa insegnano le pesti”, Cortina Editore 2022, pp. 135. € 12.